Il carbone mette in crisi il mercato del gas europeo

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Jean-François Cirelli, presidente di Eurogas, lancia l’allarme in un’intervista: in assenza di contromisure che sarebbero da prendere con urgenza, spiega, vi è il rischio che il carbone americano, che è stato sostituito in maniera massiccia come combustibile dalle centrali elettriche dal boom dello shale gas, potrebbe invadere il mercato europeo soppiantando in modo determinante il gas nella produzione di energia elettrica europea. Secondo il presidente di Eurogas (che rappresenta circa 50 aziende di gas industriali e associazioni di categoria nei 27 paesi) è urgente in risposta rafforzare il sistema di scambio di emissioni dell’UE (ETS). Le fonti energetiche rinnovabili, che sono sovvenzionate in larga misura, dovrebbero essere progressivamente integrate nel mercato in maniera più strutturale. Cirelli raccomanda anche l’uso del meccanismo di remunerazione della capacità installata (oggi di gran lunga superiore a qualsiasi margine di sicurezza), ma  questo dovrebbe avvenire in modo armonizzato a livello dell’UE. Cirelli lamenta la miopia dell’Europa per non aver previsto l’arrivo massiccio di carbone americano a basso costo sul mercato dell’UE, utilizzato in modo importante dalla Germania, che ha aperto nuove centrali elettriche a carbone, ma anche dai Paesi Bassi e Spagna e in maniera crescente dall’Italia. La Francia e il Belgio, anzi,  sono gli unici due stati che hanno completamente fermato l’uso del carbone. Questa situazione paradossale dovuta al fatto che il gas, che provoca meno emissioni nocive, venga eliminato a favore del carbone crea un problema fondamentale per le politiche salvaclima dell’UE: n alcuni paesi, il consumo di carbone è aumentato di oltre il 50% all’anno. Di fronte a questa situazione, il presidente Eurogas teme addirittura che il gas, che è ancora molto importante nel settore del riscaldamento, potrà sparire invece dal mix di  combustibili per la generazione potenza. Un altro argomento di preoccupazione per il rappresentante principale dell’industria europea del gas riguarda lo “spettro del black-out”, che, a causa della natura intermittente di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, sarebbe tutt’altro che scongiurato, anzi richiede una robusta pianificazione delle centrali che devono essere utilizzate come back-up. Mentre le centrali a gas sono costruite per funzionare una media di 6.000 ore l’anno, ma alcune di esse sono in funzione appena 2.000 ore anno, la principale conseguenza di questa situazione è che stiamo per chiudere centrali a gas per motivi economici e non di obsolescenza, che non ha precedenti e che potrebbe minacciare la capacità di sopperire ai cali di produzione da FER. Altro dato che farà sì che il carbone sorpassi definitivamente il petrolio nel giro di dieci anni al massimo, sostiene l’AIE, sta nel fatto che si stima un perso della Cina per il 2017 pari al 50% della domanda globale di carbone. Il sorpasso del carbone ai danni del petrolio nella classifica delle risorse più utilizzate sarà all’insegna dell’aumento della richiesta di carbone da parte di Cina e India, i due colossi asiatici che, messi insieme, vantano una popolazione di 3 miliardi di abitanti. Le recenti proiezioni dell’agenzia stimano che l’uso di carbone sia destinato a crescere in modo significativo, nei prossimi quattro anni (per il 2017), per portarsi a un totale pari a oltre 4 miliardi di tonnellate di petrolio equivalente. L’incremento di greggio sarà, secondo le stime, dello stesso ordine di grandezza. Queste osservazioni, contenute nel Medium-Term Coal Market Report dell’Agenzia internazionale per l’energia lasciano ben immaginare che il sorpasso del carbone sull’oro nero nel giro degli anni successivi sia quasi scontato. Il problema, secondo gli esperti dell’Agenzia, è che ciò impedirà al pianeta di raggiungere gli obiettivi del Protocollo di Kyoto sulle emissioni di gas serra, essendo l’utilizzo del carbone più inquinante, come noto, rispetto al petrolio e non essendo possibile implementare le tecnologie CSS in modo da compensare il suo impiego. Tale prospettiva è una conferma di quanto già si prevedeva nell’Energy Outlook 2012 dell’Agenzia.

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