La dichiarazione di Rio+20: pochi fatti, molte buone intenzioni

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Al termine dei lavori della conferenza Rio+20, il quinto incontro mondiale sullo sviluppo sostenibile, il tavolo si è chiuso con l’adozione di una dichiarazione dal titolo ‘Il futuro che vogliamo’. Si tratta di un compromesso  approvato da tutti i 188 paesi partecipanti, che si impegnano a promuovere una green economy che impiegherà le risorse naturali del pianeta con rinnovata parsimonia e con l’obiettivo di sradicare la povertà dal pianeta. Questo testo, giudicato debole e retorico è in effetti svuotato dei presupposti essenziali, in particolare obiettivi concreti e misure di finanziamento, tant’è che ha sollevato notevoli dubbi e perplessità, sia da parte delle organizzazioni non governative coinvolte, che dai Paesi in via di sviluppo e da numerosi osservatori. L’arena politica ha invece sorprendentemente espresso un alto livello di soddisfazione. Il Commissario per l’ambiente dell’Ue Janez Potocnik ha dichiarato che l’Unione ha sostenuto il documento con soddisfazione in riferimento alla crescita ‘verde’, anche se “ci sono una serie di settori in cui avremmo potuto sperare in un risultato più ambizioso, ad esempio per quanto riguarda la definizione dei tempi per il raggiungimento degli obiettivi nei settori prioritari”. E’ stato insomma ritenuto un primo passo importante verso una green economy globale, lo sviluppo sostenibile e la lotta alla povertà. Anche per il Segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon, questo testo è “un documento molto buono, una visione sulla quale possiamo costruire i nostri sogni”. Il Segretario di Stato americano Hillary Clinton ha applaudito il risultato, dichiarando che “questa dichiarazione conclusiva segna un vero progresso per lo sviluppo sostenibile”, mentre Il Presidente del Brasile Dilma Rousseff ha osservato che Rio +20 è un “punto di partenza”. E’ la società civile, invece, che è parsa indignata. Milioni di attivisti hanno proclamato il loro disappunto, denunciando l’insufficienza degli impegni di Rio+20 e la mancanza di ambizione e di obiettivi che ne è scaturita. Kumi Naidoo, (Greenpeace International) ha riassunto l’incontro con un’immagine molto forte: seduti comodamente in sedie a sdraio sul Titanic che affonda: le aspettative sull’incontro erano già basso, ma il risultato è stato ancora peggio.  Un’occasione mancata, secondo Manish Bapna, del think tank americano World Resources Institute (WRI). Scendendo più nel dettaglio, al di là delle controverse impressioni, il principale risultato di Rio +20 è stata la decisione di lanciare gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) destinati a sostituire gli obiettivi di sviluppo adottati dalle Nazioni Unite nel 2000. Un difetto importante però, sia agli occhi dell’UE, sia delle principali ONG, è che la loro definizione è nelle mani di un gruppo di lavoro che presenterà proposte nel 2013 per un’attuazione prevista a partire dal 2015. Tardiva, per degli obiettivi che dovranno essere “orientati all’azione”, concisi e in numero limitato, per dare risultati concreti, certi e in tempi rapidi per affrontare i tre temi principali dello sviluppo sostenibile: ambiente, società ed economia. Su pressione dell’UE, Rio+20 ha affrontato il tema del disegno di un modello di sviluppo meno distruttivo per il pianeta di quello attuale, ma il concetto è rimasto troppo vago, così come vago è parso il piano, sempre proposto dall’Ue, per salvaguardare e proteggere gli Oceani dalla pesca eccessiva e dallo spopolamento dei mari, per cui si è deciso di creare una struttura dedicata per lo studio dell’ambiente marino che sarà istituita solo a partire dal 2014. Anche il tema dei finanziamenti rimane in sospeso: in tempi di crisi e con budget limitati, la proposta del fondo per i paesi in via di sviluppo di 30 miliardi di dollari l’anno per combattere la fame e la povertà è rimasta inascoltata. Rio+20 incoraggia nuove fonti di finanziamento (riferendosi a imprese, persone fisica, etc..) ma non entra nel dettaglio e non dà alcuna indicazione su come si immagina di incentivarle. Infine, a sostegno di un miglioramento della governance, si prevede un aggiornamento più rapido del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente e la disponibilità di bilanci più generosi, con l’obiettivo di rilanciare, anche dopo il 2013, forum politici di alto livello. Ancora però con lo scontento di quanti chiedevano meno tavoli politici e più azioni concrete, soprattutto quando il risultato degli incontri è talmente banale da non giustificarne nemmeno l’iniziativa.

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