La classificazione catastale degli impianti fotovoltaici

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Il mercato della produzione di energia elettrica mediante fonti rinnovabili ha suscitato l’attenzione degli operatori in relazione agli adempimenti di carattere fiscale riguardanti lo svolgimento di questa particolare attività. Con la circolare n.36/E del 19 dicembre 2013, l’Agenzia delle Entrate interviene per chiarire come rilevano ai fini delle imposte dirette e dell’IVA gli incentivi erogati ai titolari di impianti di energia da fonti rinnovabili, e come sono inquadrati in ambito catastale gli impianti fotovoltaici. Ai fini dell’obbligo di accatastamento e della determinazione della rendita catastale di un impianto fotovoltaico, non è fondamentale esclusivamente la facile amovibilità delle sue varie componenti impiantistiche, quanto, piuttosto, il rapporto di tali componenti con la capacità ordinaria dell’unità immobiliare a cui appartengono di produrre un reddito temporalmente rilevante. Questo significa che non saranno più considerati beni mobili anche gli impianti da copertura, qualora l’impianto integri il valore in misura superiore al 15%. Rientrano nei beni immobili gli opifici (centrali di produzione di energia elettrica autonomamente censibile nella categoria D/1 o D/10) come gli impianti a terra. Restano impianti mobili quelli fino a 3 kW (per singola unità abitativa) o, per le installazioni ubicate al suolo, fino a 150 metri cubi di volume occupato (dato dalla superficie lorda dell’impianto per l’altezza della mediana orizzontale dei pannelli). Questo significa che gli ammortamenti previsti al 9% per beni mobili ora scendono al 4%, ma i maggiori ammortamenti dedotti nei periodi di imposta precedenti non devono essere rettificati. La percentuale di ammortamento tra l’altro non corrisponde alla vita reale dell’impianto ma al periodo convenzionale di vita tecnica alla base del contratto stipulato con il GSE.

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